LINGUA ARABA
La lingua araba standard (MSA), formatasi come lingua letteraria nel corso della Nahda النهضةo Risveglio culturale, a partire dagli inizi dell’800, rappresenta fondamentalmente una continuazione dell’arabo classico. Arricchito lessicalmente e strutturalmente a livello sintattico-morfologico, l’arabo standard è oggi la lingua ufficiale dei paesi arabi, dall’Iraq alla Mauritania, e fornisce una preziosa chiave di accesso alle numerose parlate locali o dialettali che rendono questo orizzonte culturale e linguistico tra i più ricchi e complessi del mondo. La lingua standard è lo strumento comunicativo della diplomazia, del commercio, dei mass-media, della scienza e della ricerca, etc.
La lingua araba classico-moderna (arabo letterario), lingua ufficiale in 22 paesi, è anche la lingua liturgica (quindi sacra) dell’Islàm, usata e venerata da oltre un miliardo e 200 milioni di musulmani. La precisione grammaticale e la rigorosità morfologica della lingua sono impressionanti, e sono di grande aiuto nella comprensione e nell’applicazione della logica.
Per l’Europa, il musulmano è, storicamente, l’altro per antonomasia, colui dal quale ci separa l’abisso di un mare e quello, ancora più profondo, di una religione.
L’arabo appartiene alla famiglia delle lingue semitiche, termine coniato da A.L. Schlozer e J.G. Eichhorn, della Università Georg-August di Gottinga, nel 1795 con l’articolo intitolato Semitische Sprechen. Le lingue semitiche si suddividono in tre gruppi: semitico orientale, semitico nord-occidentale e semitico meridionale. Quest’ultimo, a sua volta, presenta un’ulteriore suddivisione: nord-arabico, sud-arabico antico ed etiopico. Al nord-arabico appartengono l’arabo preclassico, l’arabo classico e i dialetti arabi moderni. La poesia preislamica, il Corano e la letteratura medievale araba costituiscono il ricco patrimonio etno-storico-linguistico alla base di tutte le parlate neoarabe.
Lo studio della lingua araba e del suo elegante alfabeto ci porta indietro nel tempo, ai secoli a cavallo dell’era cristiana, nella regione settentrionale della penisola arabica dove si costituirono degli organismi statali, che si affiancarono ai regni sudarabici, di certo ben più antichi. Due furono le compagini statali in assoluto più illustri: la Nabatena (o Nabatea) e la Palmirena. La prima occupava l’odierno territorio della Giordania, dall’Arabia Saudita sino alla Siria; la seconda, invece, si trovava all’estremità orientale dell’attuale Siria. Traevano la propria fortuna dalla loro posizione geografica privilegiata e dal loro ruolo sulla cosiddetta via dell’incenso: in verità, arrivavano prodotti esotici non solo dall’Arabia Felix, ma anche dall’India. Oltre al già citato incenso, altri prodotti legati al commercio erano la mirra, gli aromi e l’asfalto. Quest’ultimo affiorava, in certi periodi dell’anno, alla superficie del Mar Morto, chiamato Mare Asphaltitis nell’antichità classica. Inizialmente, questo materiale, mescolato al bitume, veniva trasportato in Egitto, ove era impiegato come materia medica, per il calafataggio di imbarcazioni e per l’imbalsamazione di mummie.
Le carovane che trasportavano la mirra (Balsamodendron myrrha) e l’incenso (Boswella Carterii e Boswella Frereana) attraversavano l’altopiano sudarabico e le vallate parallele al Mar Rosso, dall’Arabia del Sud a Gaza in Palestina. Il percorso, secondo Plinio, era scandito da ben sessantacinque stazioni di sosta, corrispondenti molto probabilmente ai giorni richiesti per coprire tale distanza. Le carovane partivano da Nagràn, nell’odierno Yemen, a nord di Sanà: da qui l’esercito di cammelli e trasportatori arrivava al mercato della Mecca, quindi a Petra, in territorio dei Nabateni, gli ultimi intermediari arabi prima dell’imbarco dei pregiati beni dai porti del bacino del mediterraneo orientale e diretti verso la Grecia, Roma e altri empori occidentali. La principale città nabatena era la capitale Petra, in Giordania, costruita in una gola del deserto giordano e rimasta nascosta per secoli fino alla sua scoperta, nel 1812, dall’esploratore, geografo e orientalista svizzero Ludwing Burckhardt.
Per quasi tre secoli i Nabateni ebbero l’assoluto primato sui flussi commerciali della regione, ma l’annessione da parte dell’imperatore romano Traiano del loro territorio alla Provincia Arabia, avvenuta nel 106 d.C., tramandò questa eredità a Palmira – il cui significato arabo era probabilmente “avamposto”, in contrapposizione al tradizionale significato che lo vuole derivato da “palma” – che, essendo posizionata più a settentrione, poteva gestire meglio le mercanzie che giungevano dall’Estremo Oriente, sia dal Golfo Persico sia attraverso l’Asia Centrale e l’attuale Iran.
Nel VI s. a.C. l’aramaico divenne la lingua franca e la scrittura franca di tutto l’impero persiano achemenide (540 a.C. – 331 a.C.). La grafia dell’alfabeto aramaico rimase in sostanza identica a quella del fenicio fino a circa il VII s. a.C., originatasi a sua volta dalla scrittura protosinaitica, quando cominciamo a identificare le prime marcate differenze: in primis, la corsivizzazione della scrittura, seguendo una tendenza verificatasi prima in Assiria. Presto il corsivo aramaico si distinse da quello fenicio e dal paleoebraico.
Dalla scrittura aramaica, a partire dal IV s. a.C., si svilupparono delle tradizioni scrittorie nazionali ben definite:
- Scrittura ebraica (chiamata anche giudaica per distinguerla da quella in uso per il paleoebraico)
- Scrittura nabatena (II s. a.C.)
- Scrittura palmirena (I s. a.C.)
- Scrittura nord-siriaca (nella regione di Edessa, alto Iraq)
- Altre scritture formatesi verso est
(continua)