La scrittura nabatena ebbe origine in seno a una popolazione araba stanziatasi tra il Negev, la Giordania e il sud della Siria, costituitasi in uno stato detto appunto dei Nabateni. Il modello di scrittura sviluppato da questa società, che aveva adottato l’aramaico per comunicare con le altre popolazioni della regione, e che da loro prende il nome, mostra una tendenza di molte lettere a diventare identiche e a legarsi tra di loro, specie verso la fine della sua esistenza come tradizione scrittoria.
I contratti nabateni su papiro ci restituiscono esempi di una scrittura con forme alte e strette, seguendo una propensione adottata anche dalla scrittura punica. Inoltre, le epigrafi nabatene contengono numerosi arabismi. L’iscrizione di Nemara, datata al 328 d.C., scritta in arabo, ci consente di affermare come già allora l’aramaico nabateno si fosse estinto come lingua, resistendo solo come grafia.
Gli abitanti di Edessa – odierna Urfa -, anch’essi arabi aramaizzati, si costituirono in un’entità politica autonoma, dopo il ritiro dei Seleucidi, e la fievole autorità dei Parti, organizzati intorno alla dinastia degli Abgar. La loro lingua, il siriaco, è caratterizzato da una scrittura con una tendenza delle lettere a essere scritte entro moduli rettangolari, posati orizzontalmente sulla linea di scrittura, e legate, i certi casi, tra di loro.
Si è molto dibattuto su quale tra queste due tradizioni scrittorie – il siriaco o il nabateno – abbia dato i natali alla grafia araba. Oggi, tuttavia, con un certo grado di cautela, si potrebbe affermare che la scrittura araba sia il risultato della fusione delle due ipotesi, ovvero, che la scrittura araba derivi dall’alfabeto nabateno tardo con un ductus (andamento della scrittura) tipicamente siriaco.
La diffusione del Corano a partire dalla seconda metà del VII d.C rese necessario rendere l’alfabeto più comprensibili,per una corretta lettura dei testi sacri, sia per gli arabofoni, sia per coloro che adottavano la lingua araba o la religione islamica. In questo contesto, durante il califfato di Ali ibn Abu Talib, il poeta e grammatico Abū al-Aswad al-Duʾalī concepì un sistema di segni per la vocalizzazione della lingua: esso comportava l’utilizzo di punti di colore rosso posti sopra, sotto o all’interno delle lettere per indicare i suoni delle tre vocali, a, i u. Tuttavia, quasi in parallelo furono inseriti i punti (i‘jām) che distinguevano le lettere omografe, rendendo il sistema di scrittura piuttosto complesso e lento, considerando oltretutto la necessità di impiegare due colori diversi di inchiostro.
Tutte queste considerazioni ci portano a introdurre in questa breve descrizione un personaggio illustre della storia della lingua araba, ovvero, al-Khalil ibn Ahmad al-Farahidi, lessicografo e filologo nato nel territorio dell’odierno Oman. Fu uno dei grandi grammatici di Bassora, Iraq, una delle principali scuole per lo studio della lingua araba durante la cosiddetta epoca d’oro islamica, cioè, dalla fondazione della dinastia abbaside fino alla conquista mongola di Baghdad verso la fine del XIII s. d.C.
Ad al-Farahidi dobbiamo l’introduzione di un nuovo sistema di segni diacritici per indicare le vocali (fatha, kasra e damma) e altri segni per la corretta lettura della lingua araba, il tashdid, il madda, il sukun, etc. Il suo sistema è rimasto fondamentalmente lo stesso fino ai nostri giorni.