Area semitico-occidentale

FILOLOGIA SEMITICA

La Filologia semitica si occupa non solo di filologia, ma anche e soprattutto di linguistica, disponendo di un bacino di ricerca tra i più ampi e ricchi a cui possa aspirare un linguista.

Le lingue semitiche sono infatti documentate già a partire dal terzo millennio a.C. (eblaitico e accadico) e alcune di esse sono attualmente le lingue ufficiali di stati del Vicino Oriente e dell’Africa (l’arabo, l’ebraico, l’amarico e il tigré) e di uno stato dell’Europa (l’arabo maltese).

L’Accademia delle Antiche Civiltà  considera la filologia semitica  come una disciplina di raccordo tra l’area semitica occidentale (Lingua eblaitica, Lingua aramaica ed Ebraico biblico), l’area semitica orientale o mesopotamica (Lingua accadica od assiro-babilonese) e l’area semitico-meridionale (Lingua araba, Arabo parlato). Quindi, il nostro corso di “Filologia semitica” offre

  • un’introduzione generale alle lingue semitiche, spiegando i criteri comparatistici che consentono di classificarle in sottofamiglie distinte per tipologia e caratteristiche geografiche;
  • una panoramica accurata di fonologia, morfologia, sintassi e semantica;
  • la storia della loro diffusione nel Medio Oriente e in Africa;
  • la lettura e l’esame di documenti in lingua.

Ogni anno parte del corso viene destinata all’esame di una diversa lingua semitica, tanto tra quelle antiche, quanto tra quelle moderne, attraverso lo studio di documenti epigrafici o letterari.

LINGUA EBLAITICA

Quando, ormai più di quarant’anni fa, una missione archeologica italiana in Siria intraprese lo scavo del sito di Tell Mardikh, la città di Ebla, già nota dalle fonti cuneiformi, era sfuggita non solo alla vanga dell’archeologo, ma anche ai molti tentativi di localizzazione da parte degli specialisti del settore.

Fu il rinvenimento di un busto frammentario di una statua regale, recante incisa un’iscrizione con il nome del re Ibbit-Lim e della sua città a sciogliere definitivamente il mistero di Ebla, permettendone l’identificazione con il sito di Tell Mardikh.

Negli anni immediatamente successivi il suolo di Tell Mardikh ha continuato a restituire, oltre ai resti monumentali di quella che si è andata rivelando come un’autentica metropoli siriana dei III millennio a.C., migliaia di tavolette dai più disparati contenuti: testi amministrativi nella stragrande maggioranza, ma anche lessicali, letterari, magici e “storici”.

Man mano che il suolo andava consegnando agli archeologi le vestigia del suo passato, gelosamente custodite per più di quattro millenni, tutto il quadro di una civiltà di potenza e di floridezza insospettate si andava componendo grazie alle analisi incrociate degli archeologi, degli storici e dei filologi.

Là dove si era ben lungi dal sospettare anche solo l’impiego della scrittura, veniva invece alla luce una civiltà composita, nella quale tratti originalmente siriani si mescolavano con influenze delle culture limitrofe (soprattutto quella sumerica), dando luogo a una sintesi estremamente audace: per esempio, l’eccezionale connubio tra la scrittura cuneiforme, d’importazione mesopotamica, e la lingua locale (di ceppo semitico-occidentale).

Finora gli scavi hanno consentito di individuare due grandi fasi di sviluppo della città:

  1. quella più antica (preceduta a sua volta da una fase ancora più antica, ma per il momento poco documentata), “ufficialmente” datata alla seconda metà del III millennio, la cosiddetta “Ebla degli archivi” o Ebla protosiriana
  2. quella paleosiriana, databile al periodo a cavallo tra III e II millennio, ampiamente documentata sul piano archeologico, ma finora piuttosto avara di documenti scritti.

A essere onesti, poco sappiamo della storia di queste due fasi della città (dal momento che anche le scarse notizie delle fonti mesopotamiche sono suscettibili di interpretazione).

Mentre il quadro generale continua a essere avvolto nelle tenebre di un fitto mistero, alcuni episodi sono illuminati, del tutto casualmente, da un genere di testi di varia natura (epistole, trattati, etc) che tradizionalmente, per la ricchezza di informazioni “storiche”, gli specialisti chiamano appunto “storici”. Alcuni di questi testi, intorno ai quali si è sviluppata negli anni immediatamente successivi alla scoperta una vivace discussione accademica, hanno fatto la storia della ricerca eblaitologica; per citare solo gli esempi più significativi.:

  • l’iscrizione incisa sul già citato busto di Ibbit-Lim, che permise la sicura identificazione del sito;
  • la “lettera di Enna-Dagan“, documento di eccezionale importanza (anche se di controversa interpretazione) sui rapporti tra le due grandi potenze della Siria del III millennio, cioè Ebla e Mari;
  • il trattato tra Ebla e una ancora non bene identificata città di ABARSAL.

Ormai da anni, lavorando alacremente a questo tipo di documenti, quasi fossero le poche tessere sopravvissute di un immenso mosaico andato perduto, generazioni di studiosi hanno cercato e cercano di strappare sempre nuovi lembi di verità, ben consapevoli che ogni acquisizione, ogni ipotesi è minacciata dalla possibilità che nuove scoperte possano stravolgere il quadro con tanta fatica ricostruito.