LINGUA E CULTURA SUMERICA
Il sumerico è la lingua dei Sumeri, gli antichi abitanti della Mesopotamia centromeridionale (corrispondente all’odierno Iraq del sud). In realtà, il sumerico sopravvisse ai Sumeri stessi, dal momento che, estinto dall’uso vivo al più tardi alla fine del III millennio, restò come lingua “culturale” e “sacra” nelle scuole mesopotamiche, ormai babilonesi e assire, fino alla fine del I millennio.
“Cuneiforme”è l’attributo con cui viene generalmente designato il complesso sistema di scrittura – misto di ideogrammi e sillabogrammi – impiegato (e forse anche inventato) dai Sumeri. Si tratta di una lingua isolata, cioè non imparentabile ad alcun gruppo linguistico noto. Alcune sue caratteristiche, poi, ne fanno una lingua molto diversa dalla nostra: in particolare, si intende qui l’agglutinazione (a fronte del carattere fusionale e flessivo dell’italiano e delle altre lingue indoeuropee) e l’ergatività (da contrapporsi al sistema accusativo della nostra lingua). Agglutinazione significa che le parole si costruiscono per giustapposizione di elementi generalmente immodificabili, e dotati ciascuno di una e una sola funzione. Per es. “agli dèi” in sumerico si dirà: dingir-ene-ra, dove dingir è il lemma per “dio”, -ene è l’elemento del plurale, e -ra il segnacaso del dativo. L’ergatività invece ha a che fare con le relazioni grammaticali tra i partecipanti all’azione, e comporta tra l’altro che in sumerico non esistono le categorie contrapposte di soggetto-oggetto, transitività-intransitività, attività-passività, e così via. Non è un paradosso affermare che, nonostante gli straordinari progressi fatti in campo sumerologico, il sumerico è una lingua ancora in gran parte da decifrare. I testi infatti, restano pressoché incomprensibili dalle prime testimonianze scritte, databili intorno alla fine del IV millennio a.C., fino alla metà del III millennio.
Anche quando diventa leggibile, il sumerico resta comunque ancora per molti versi una lingua arcana o “oscura”, come ammettevano gli stessi Babilonesi. Molto infatti resta ancora da indagare sul lessico e sulla grammatica sumerica. In lingua sumerica ci è stata tramandata una letteratura quanto mai ricca e variegata: non solo testi economico-amministrativi (che ne costituiscono comunque l’assoluta maggioranza) ma anche epistole, testi scolastici, scongiuri, codici di leggi e sentenze, preghiere e inni, miti, poemi, e così via. Lo studio del sumerico si baserà sulla conoscenza delle caratteristiche principali di questa lingua, e sull’analisi di testi, come alcuni esemplari delle “iscrizioni reali” (in particolare quelle della III Dinastia di Ur e quelle incise sulle statue del celebre principe Gudea di Lagas, tutte databili intorno alla fine del III millennio a.C.) scelte non solo per la loro comprensibilità, ma anche per il carattere classico della lingua (la copia di iscrizioni reali faceva parte del curriculum dei giovani apprendisti scribi).
LINGUA E CULTURA ACCADICA
“Accadico” è il termine con cui si designa la lingua semitica degli antichi abitanti della Mesopotamia (corrispondente pressappoco all’attuale Iraq) tra la fine del III e la fine del I millennio a. C. Infatti, le due diramazioni più importanti dell’accadico sono l’assiro e il babilonese, parlati dalle due omonime popolazioni semitiche. In realtà, l’impiego della lingua accadica non è coesteso alla durata e all’estensione geografica della civiltà assiro-babilonese. Infatti, le prime consistenti testimonianze scritte della lingua accadica risalgono all’epoca della dinastia di Accad (seconda metà del III millennio), fondata da Sargon il Grande. Inoltre, l’accadico sopravvisse anche alla fine dell’egemonia assiro-babilonese in Mesopotamia, vale a dire alla caduta di Ninive prima (612 a. C.) e di Babilonia poi (539), e continuò a essere usato nelle cancellerie d’epoca persiana e seleucide, quando ormai altre lingue (in primo luogo l’aramaico e il greco) si erano venute affermando nell’area. Anche per quanto riguarda l’estensione geografica, l’espansione dell’accadico fu un fenomeno più rilevante di quella degli eserciti babilonesi e assiri. Anzi, a partire dalla metà del II millennio, l’accadico divenne una sorta di “lingua franca” di tutto il Vicino Oriente Antico, dall’Egitto, alla Siria-Palestina, all’Anatolia e a tutta la periferia circum-mesopotamica.
La scrittura impiegata dagli Assiri e dai Babilonesi fu quella detta “cuneiforme”, ereditata dai Sumeri, anche se riformulata per adeguarsi alle diverse caratteristiche (in primo luogo flessività in luogo dell’agglutinazione sumerica) dell’accadico.
Il successo di questa lingua ha fatto sì che una letteratura quanto mai vasta e varia sia stata tramandata in accadico: testi economico-amministrativi, documenti politici, giuridici, storici, le iscrizioni reali dei sovrani assiri (in particolare quelle della dinastia di Sargon II: lo stesso Sargon, Sennacherib, Esarhaddon e Assurbanipal), composizioni teologiche, religiose e cultuali, inni, miti, poemi. Tra le moltissime opere vanno menzionati veri e propri capolavori della letteratura mondiale: in particolare l’Epopea di Gilgamesh, il Mito del Grande Saggio (una sorta di Noè babilonese) e l’Enuma Elish o Poema babilonese della creazione.
Tra tutta questa enorme messe di letteratura si è scelto di supportare l’introduzione alle strutture essenziali della lingua accadica con testi (essenzialmente passi tratti dal famoso codice di leggi e dalle epistole) risalenti al regno del celebre sovrano babilonese Hammu-rapi (prima metà del II millennio a. C.). La ragione è che la lingua di quest’epoca, detta appunto “paleo-babilonese”, fu considerata la lingua “classica” per eccellenza dagli stessi Babilonesi, dal momento che continuarono a copiarne e tramandarne i testi più significativi (divenuti ormai parte essenziale del curriculum degli scribi apprendisti) fino alla fine del I millennio, e che a essa largamente attinsero nella composizione delle opere letterarie redatte successivamente.
(continua)